domenica 3 aprile 2022

Zagor contro Mortimer - Capitolo 6



Nel pezzo pubblicato in questa sede a dicembre dello scorso anno ho riproposto una lunga recensione sul quinto capitolo della saga di Mortimer, uscita a suo tempo su Dime Web; l’articolo è stato per l’occasione aggiornato per segnalare le novità introdotte in questi ultimi anni. Una di queste va a toccare aspetti personali della vita dello Spirito con la Scure: ripensare al finale di quella avventura, con i segreti amorosi dell’eroe messi in piazza da Mortimer (il caso Virginia Humboldt), e osservare la robusta nervatura sentimentale di questo sesto capitolo dà alla serie un dinamico realismo. Gli sceneggiatori e gli autori che ne realizzano le storie (come tutti noi lettori, del resto) attraversano fasi della vita magari totalmente in antitesi rispetto agli anni precedenti. Questo concetto è valido anche per i personaggi della finzione, ancor di più per quelli decennali.

Mortimer ritorna dalla morte

I nemici trovano sempre un modo per sfuggire alla morte: è una regola non scritta ben conosciuta ai narratori di avventura. I cattivi sono l’essenza dei racconti avventurosi: proviamo a togliere dalle rispettive saghe di Tex e Zagor Mefisto ed Hellingen… Questi due villain, tra gli altri, hanno fortemente definito le personalità dei due eroi bonelliani e rappresentano uno scontro quasi apocalittico, che affonda le sue radici in opere millenarie come l’Odissea o l’IliadeBurattini ha cercato di contribuire alla significativa galleria di nemici zagoriani dando vita, nel lontano 1998, a Mortimer, un personaggio che, episodio dopo episodio, si è ritagliato uno spazio importante nella saga. Nel quinto capitolo la carriera di questo genio del crimine sembrava definitivamente chiusa, però l’autore aveva nascosto tra le righe di quel racconto una scappatoia per un suo possibile ritorno. Apprestandomi alla lettura de La diabolica trappola ho provato ad immaginare una soluzione all’enigma della resurrezione di Mortimer e non sono riuscito a individuarne una che avesse una sua logica. L’autore è riuscito a sorprendere e, da quanto ne so, molti di miei contatti sono rimasti sorpresi dall’idea scelta da Burattini. Nel racconto Ora Zero! (ZG 110-113) Guido Nolitta aveva fatto in modo che Zagor, tramite una strana erba medica datagli da Tonka, cadesse in catalessi: Hellingen, ignaro del fatto, prende atto della morte del Nostro e lo lascia lì nella baracca (una situazione, tra l’altro, mutuata da alcuni romanzi di Emilio Salgari) rimandando al giorno dopo la sepoltura del corpo. Poche ore dopo, come Sandokan, lo Spirito con la Scure si rianima e si prende la sua rivincita...


Mortimer osserva le due pillole: la bianca e la nera.
©Sergio Bonelli Editore

Burattini in questo racconto utilizza un espediente simile, ma aggiunge delle plausibili informazioni scientifiche sulla pillola ingerita da Mortimer. Nel flashback vediamo il farmacista amico di Mortimer spiegargli come agiscono le pillole mettendolo in guardia dagli eventuali rischi. Nelle pagine iniziali del primo dei tre albi, tra l’altro, lo sceneggiatore ha inserito in maniera subliminale l’indizio che a parer mio anticipa l’estrema scelta finale di Mortimer: andatevi a rivedere la terza vignetta di pagina 15 de La diabolica trappola. Nonostante chi scrive sia consapevole di questi trucchi, più volte utilizzati dallo sceneggiatore, esso è sfuggito alla mia attenzione: solo dopo l’inaspettato finale sono andato a cercare l’indizio che la mia mente aveva inconsciamente registrato.

Tra l’altro, nascondere nelle prime pagine una frase o una situazione in apparenza fine a sé stessa è un espediente narrativo più volte adottato dalla grande Agatha Christie in alcuni suoi romanzi. Stratagemmi ben noti ai lettori, ma, nonostante ciò, puntualmente sfuggiti anche ai più attenti. Questo perché, come ha scritto Leonardo Sciascia nella postfazione de L’assassinio di Roger Ackroyd (Oscar Mondadori, p. 224), il lettore di gialli è costituzionalmente disattento, si costituisce cioè in disattenzione nel momento in cui sceglie di leggere un giallo. E del resto la qualità di un giallo è data dalla capacità di tendere il mistero quanto più lungamente è possibile e dall’imprevedibilità dello scioglimento finale.

Se hai degli amici, non perderai mai

Nel Paleolitico gli esseri umani erano cacciatori-raccoglitori e vivevano in piccole comunità che si spostavano seguendo le prede e cercando luoghi ricchi di frutti con cui sfamarsi. Quei primi nostri antenati abitavano un mondo selvaggio dove la presenza umana era molto rada. Per supplire alle enormi difficoltà avevano un forte senso di comunità: si aiutavano tra di loro come se fossero un solo uomo, perché erano consapevoli che dividersi avrebbe significato morire di stenti o finire tra le fauci di qualche belva

Nel mondo immaginario di Darkwood lo Spirito con la Scure ha affrontato innumerevoli avversari, ma ogni volta l’eroe ha avuto il supporto di molti amici, capaci di muoversi in suo aiuto come facevano i gruppi di cacciatori-raccoglitori agli albori dell’umanità. In questa avventura, dinanzi alle pesanti accuse di aver ucciso dei militari, si nota come la solidarietà degli amici di Darkwood si mobiliti per aiutare l’eroe in difficoltà. Burattini riesce a raccontare la Darkwood comunitaria come faceva Nolitta: E gli amici che ho, dice Zagor a Mortimer, me li sono guadagnati, schierandomi al loro fianco ogni volta che hanno avuto bisogno di me (L’ultimo duello, p. 94). Tutti gli amici di Zagor non si girano dall’altra parte dinanzi alle infamanti accuse che rischiano di travolgerlo: Cico, le ragazze di Pleasant Point, il colonnello Perry. Quest’ultimo, dopo aver casualmente incontrato il fuggitivo Zagor, non esita a lasciarlo andare, con il rischio concreto di compromettere la propria carriera e la propria reputazione, convinto che l’eroe debba soltanto trovare le prove della sua innocenza. Un’innocenza di cui il militare non dubita: la legge in uno stato di diritto impone giustamente che la verità debba essere dimostrata con prove certe. Purtroppo, nella finzione e nella realtà, in alcuni settori dei potentati dell’economia, o degli ambienti militari, o anche in quello di chi amministra la giustizia accade che alcuni personaggi utilizzino il proprio potere per distruggere gli avversari, creando ad arte prove false e infamanti. L’eroe e il colonello Perry, come tutte le persone consce della verità, non sfuggono alla legge ma attraverso la legge si oppongono e ottengono Giustizia. Per fortuna, personaggi classici come Tex e Zagor hanno il coraggio di smascherare i soprusi di chi detiene il potere o amministra la legge: per questo sono degli Eroi.

L’amicizia fraterna non si ferma neanche davanti all’estremo rischio della vita: nell’albo Mortimer colpisce ancora, dopo la cattura di Zagor, Burattini costruisce delle sequenze drammatiche che mi fanno pensare al supplizio di Cristo sul Calvario, costretto a portare la croce nonostante le ferite inferte dai soldati romani. Dopo essere stato pestato dai soldati, l’eroe è obbligato a trascinare il travois in cui è adagiato Cico ferito. La successiva sequenza in cui Jenny, a sua volta gettata brutalmente a terra dai militari, accorre verso uno Zagor spossato e sanguinante, ricorda il disperato soccorso della Madre di Gesù, ingiuriata e derisa, dopo la seconda caduta. Il supplizio dell’eroe arriva qui al suo apogeo, ma da questo momento buio inizia la resurrezione di Zagor, aiutato dalle intuizioni di Cico e dal coraggio delle ragazze di Pleasant Point. Se il Male trova la strada di insinuarsi quasi ovunque, la forza morale degli amici riesce a riportare la luce là dove dimoravano le tenebre.


Zagor, nemico mio!

Quale Mortimer vediamo agire in questo sesto capitolo della sua epopea? È un Mortimer geniale come al solito, ma il cui glaciale autocontrollo è stato definitivamente minato dalla tragica morte della sua Sybil nell’avventura haitiana. Sembrerebbe lo stesso personaggio che abbiamo visto nel precedente capitolo, ma in realtà si notano alcune sfumature evolutive. Se nell’avventura sopracitata il genio del crimine era riuscito a razionalizzare la sua collera, in questo racconto il personaggio non sempre riesce a trattenere la sua rabbia nei confronti dell’eroe. Gli impulsi iracondi si fanno più frequenti, come quando nel secondo albo (pp. 30-31) distrugge le suppellettili della capanna della palude, o ancora quando, nel terzo albo (pp. 68-69), la sua maschera facciale si deforma durante l’ultimo scontro con Zagor. In quest’ultima sequenza gli Esposito Bros mostrano ancora di più le proprie capacità interpretative. A dimostrazione di come il delirio interiore riesca ad abbassare la soglia di attenzione di Mortimer, a pagina 73 de L’ultimo duello Jenny si accorge di questo particolare – Ha lo sguardo allucinato, come perso nel suo trionfo! – e, spingendolo di lato, dà il tempo a Zagor di reagire in maniera definitiva.

Abbiamo visto come Mortimer sia diventato un personaggio molto diverso rispetto a quello apparso sulla scena nel 1998. Egli non è una statica maschera che ripete all’infinito cliché consolidati, ma un personaggio vivo in grado di dettare l’agenda al biografo che ne redige le avventure. Mortimer rimane un genio del crimine abile a manovrare a piacimento le pedine sulla scacchiera in modo da ricavarne un lauto guadagno economico: a pagina 74 di Zagor Gigante 678, infatti, il diabolico nemico nomina un qualcuno disposto a pagargli una grossa cifra per aver incastrato e tolto dalla circolazione Zagor. Il modo di agire di Mortimer segue quindi una coerente linearità, ma è evidente come la vendetta nei confronti di Zagor lo abbia gettato in un vortice nevrotico difficilmente controllabile. L’odio verso l’eroe di Darkwood gli ha creato una sorta di dipendenza: Mortimer era probabilmente consapevole di come questa sua recente ossessione lo avrebbe esposto ad errori e rischi e quindi, da tempo, egli ha pianificato la sua definitiva uscita di scena. È un’uscita di scena non comune, che è scritta nel DNA del personaggio: la sua personalità è talmente strabordante da escludere qualsiasi altra soluzione finale.


L'ultima fuga di Mortimer. ©Sergio Bonelli Editore

È un Mortimer che esce dal palcoscenico in maniera clamorosa e dimostra di avere una sua dignità, per quanto distorta dalla sua visione della vita: Abbiamo combattuto una lunga guerra, noi due. Ma anche se sembri il vincitore, non illuderti di essere stato alla mia altezza. In questa ultima partita sei stato fortunato, e hai ricevuto l’aiuto dei tuoi amici. Io, invece, ho combattuto da solo. Ma c’è ancora una mossa che posso fare… qualcosa che ho preparato per tempo (ZG 679, p. 94). Possiamo ancora parlare di dignità del villain quando, nella pagina sopracitata, risponde ironicamente alle parole di Zagor sull’amicizia; e quando, dopo che Mortimer ha inaspettatamente ingerito la pillola fatale, l’eroe riconosce il genio dell’avversario: Avevi ragione, Mortimer! Sei riuscito a sorprendermi e farti gioco di me... con un ultimo colpo da Maestro (p. 96). Mortimer mette in atto la sua ultima imprevedibile evasione, fuggendo là dove nessuno potrà vederlo penzolare da una forca.

 C'è un Cuore che batte nel cuore di Darkwood

Un intenso primo piano di Jenny.
©Sergio Bonelli Editore
All’interno di questa avventura corale, in cui diversi personaggi svolgono un ruolo fondamentale, da Cico al colonello Perry, la luce dei riflettori si posa in maniera netta sulla figura di Jenny Jerson (il cognome è citato nel quarto numero di Zagor Darkwood Novels, a pagina 66), una delle tre ragazze di Pleasant Point. Sin dalle prima pagine di Zagor Gigante 677, la ragazza è molto attenta e presa dai racconti di Zagor: vuole scoprire se l’eroe nei suoi recenti viaggi abbia avuto relazioni con altre donne; è interessata ad ascoltare le vicende vissute dal Nostro in luoghi lontani; cerca di rivelare i sentimenti che noi lettori ben sappiamo, grazie alle capacità di Sophie Randall di leggere nella mente degli altri. La figura di Jenny ha iniziato il suo nuovo percorso nel Maxi Zagor 39 (ed è apparsa in seguito anche nello Speciale Cico del Sessantennale e in brevi comparse in vari racconti), ma a partire dall’avventura con protagonista la figlia di Skull la ragazza ha mostrato la sua notevole caratura drammatica e psicologica. In quella storia lo sceneggiatore ha infatti dato il via a una sorta di saga nella saga che probabilmente si concluderà la prossima estate in un racconto disegnato da Anna Lazzarini
Gli indizi disseminati fin qui lascerebbero intuire sviluppi importanti, che scopriremo alla fine di questa trilogia dell’amore. Non sappiamo cosa abbia ideato Moreno Burattini, ma se mai l’eroe di Darkwood dovesse avere una donna al suo fianco, Jenny sarebbe la compagna ideale per un uomo dalla vita avventurosa ed errabonda come quella di Zagor. Jenny è nata e vive felice a Darkwood, conosce le difficoltà della vita di Frontiera, ma è anche consapevole delle opportunità che la foresta può offrire. La giovane donna condivide gli stessi ideali di Zagor: insomma, al contrario di donne come Frida o Virginia, è una ragazza immersa nello stesso mondo in cui lo Spirito con la Scure è diventato leggenda.


Zagor e Jenny. ©Sergio Bonelli Editore

Tornando alle vicende narrate in questa storia, nel terzo albo lo Spirito con la Scure riflette sulle attenzioni e sul coraggio della ragazza (pp. 33-34), e credo che queste pagine siano propedeutiche all’evoluzione del rapporto tra i due. Un rapporto che potrebbe essere quello della consapevolezza dei personaggi e della serie: in questo periodo ben lontano dagli anni Settanta, una vicenda sentimentale non dovrebbe più essere un flash improvviso di cui nell’avventura successiva non c’è più traccia. È curioso notare, in conclusione del paragrafo, che l’onnisciente Mortimer non sappia chi sia la ragazza, ma intuisca dalle sue lacrime quali sentimenti nutra per l’eroe (ZG 679, p. 23).


Zagor racconta a Jenny del suo viaggio in Italia: 
nell'immagine i Nostri restano incantati dalla
bellezza di Venezia.
©Sergio Bonelli Editore

Un super nemico per gli Esposito Bros

Mortimer è stato realizzato graficamente da Gallieno Ferri, ma è stato Marco Verni a dargli la caratterizzazione definitiva. Gli Esposito Bros, dopo tre avventure realizzate da Verni, si confrontano per la prima volta con il cattivo burattiniano. I due autori sono partiti dall’interpretazione di Marco Verni per raggiungere una sintesi molto efficace. Poiché la sceneggiatura dava molto spazio alle contrastanti emozioni del personaggio, Nando e Denisio Esposito hanno lavorato molto sulle espressioni del suo volto. È un Mortimer recitativo e teatrale, quindi gli Esposito Bros hanno dovuto studiare molto la sua maschera facciale per evitare che risultasse statica o innaturale. È indubbio che il loro certosino lavoro abbia dato un valore aggiunto alla saga di Mortimer.

Per il resto, gli Esposito hanno confermato la capacità di centrare i personaggi che affollano l’avventura, da quelli classici a quelli più recenti come le ragazze di Pleasant Point. La loro è un’interpretazione che strizza l’occhio alla classicità zagoriana, arricchita con una dinamicità ispirata alla lezione del grande Jack Kirby.

Zagor incontra Mary Shelley a Genova.
©Sergio Bonelli Editore

domenica 23 gennaio 2022

Paolo Ferriani: un uomo da non dimenticare

Il 22 gennaio del 2021 Paolo Ferriani è morto, ma la triste notizia è rimasta per diverso tempo confinata nell’ambito strettamente famigliare. Paolo è stato un editore e un grafico eccellente e le sue raffinate monografie dedicate ai personaggi e agli autori del Fumetto popolare italiano gli avevano permesso di incontrare non pochi disegnatori, sceneggiatori, editori e critici.

Ma nessuno in questo ambiente ha mai saputo della triste notizia finché, il 28 giugno dello scorso anno, Angelo Palumbo (che stava lavorando a un articolo sugli Zagor Index per la rivista SCLS) ha scovato sul web il necrologio del nostro povero amico. Naturalmente abbiamo subito informato alcuni nostri contatti nel mondo del Fumetto, tra questi Moreno Burattini, Stefano Priarone, Giuseppe Pollicelli e Francesco Manetti.

Angelo Palumbo e Giampiero Belardinelli 
nella casa di Paolo Ferriani.
Foto di ©Angelo Palumbo

Le strade di Paolo Ferriani, di Angelo Palumbo e del titolare di questo blog (gli ultimi due da tempo collaboratori della rivista di critica bonelliana Dime Press) si sono incrociate nella seconda metà degli anni Novanta. Da quel periodo fino alla prima metà degli anni Duemila siamo stati i suoi principali collaboratori e quelli che, nella sua casa a San Pietro in Casale (BO), più di tutti hanno condiviso con lui diversi momenti conviviali e creativi.

Molti ricordi affiorano nella mia mente e le foto che corredano il pezzo ne hanno fatti scaturire altri. In occasione delle fasi conclusive dello Zagor Index 301-400, del Mister No Index 1-100 (scritto da Angelo Palumbo con la collaborazione di Roberto Altariva) e del Mister No Index Albi Speciali 1 abbiamo trascorso alcuni fine settimana a casa di Paolo, alternando i momenti di revisione dei lavori a lunghe chiacchierate sui più disparati argomenti.




Davanti alla libreria di Paolo;
sopra il Nostro e il soprascritto.
Foto di ©Angelo Palumbo

Paolo era una persona cordiale, con una notevole cultura musicale, fumettistica e cinematografica. La sua libreria era ricca di libri, saggi, cd musicali, collane a fumetti ecc. Osservandola, mi colpiva la sua particolarità di inserire, negli scaffali, delle collane fumettistiche o librarie con la numerazione da destra verso sinistra.

Nel lavoro il Nostro era una persona meticolosa e sottolineava sempre che nulla doveva essere lasciato al caso. Ci ha fatto capire che la parola scritta di per sé non era sufficiente a restituire al lettore le emozioni dei racconti analizzati negli index. Per questo ci invitava a rendere la sintassi agile e comprensibile, evitando voli pindarici e termini elitari, che spesso – ci ricordava – sono più un vezzo narcisistico e non certo una necessità utile a chi dovrà leggere il testo. Insomma, la veste grafica non era da considerarsi, secondo Paolo, un mero orpello da aggiungere ai testi, ma come parte integrante dell’analisi critica. E i suoi Index Illustrati lo dimostrano ampiamente.


Le serate conviviali.
Foto di ©Angelo Palumbo


Da questo punto di vista il Mister No Index Albi Speciali 1 è stato per Angelo e per me una sfida importante: la particolare scelta grafica, ideata da Paolo per meglio valorizzare la diversità delle storie prese in esame, ci ha insegnato a modificare il registro a seconda dello spazio che ogni racconto avrebbe avuto. Si passava ad analisi di ampio respiro per alcuni Speciali e Maxi a quelle più stringate per gli albetti fuori serie o fuori collana. Devo dire che alcune di quelle brevi sono tra le nostre recensioni più riuscite. Ritengo questo volume, aggiungo, uno dei migliori proprio per l’ardua sfida che abbiamo dovuto superare.


Copertina del Mister No Index Albi Speciali 1.
©Paolo Ferriani Editore



L'analisi del racconto breve Cuore di tenebra
(testi di Giampiero Belardinelli).
©Paolo Ferriani Editore

Una pagina che analizza lo Speciale 
Magia nera (testi di Angelo Palumbo).
©Paolo Ferriani Editore

Tra un caffettino – come diceva Paolo – e una passeggiata, tra le sessioni di correzione al computer e una gustosa pizzata in serata, Angelo ed io porteremo sempre nel nostro cuore le ore trascorse con Paolo Ferriani, e nessuno le potrà mai cancellare, neanche l’eternità.

Até logo, Paolo!

venerdì 10 dicembre 2021

 Zagor contro Mortimer - cap. 5

Nel mese di dicembre 2021 è uscito nelle edicole italiane il numero 677 di Zagor Gigante, albo in cui lo sceneggiatore e curatore di testata Moreno Burattini fa ritornare, otto anni dopo, il diabolico Mortimer, un cattivo ideato nel 1988 dallo stesso sceneggiatore toscano. L'albo da poco pubblicato dalla Sergio Bonelli Editore ha un inizio incalzante e fortemente drammatico: tornerò a scriverne in questa sede al termine dell'avventura. In attesa di ciò, ho voluto riproporre la recensione che avevo scritto per il magazine Dime Web di Francesco Manetti e Saverio Ceri. Per l'occasione ho apportato delle piccole modifiche e ho aggiunto delle notazioni importanti considerando che, dal 2014, alcune situazioni personali dell'Eroe di Darkwood sono in progressiva evoluzione. Buona Lettura!


Illustrazioni di Gallieno Ferri.
 Zagor Gigante 590-593
ⓒSergio Bonelli Editore

La morte accompagna da sempre il vagabondare di Zagor e di Cico poiché il pericolo è la costante della loro esistenza avventurosa. L’Avventura, nel senso più ampio del termine, presuppone che i protagonisti debbano scontrarsi con avversari disposti a tutto pur di ostacolarli. Infatti, un cattivo capace di mettere in serie difficoltà l’eroe, di vomitargli addosso il proprio odio o di metterlo fuori gioco con fredda lucidità è indispensabile per misurare la statura etica e morale del protagonista. Mortimer, il cattivo ideato da Moreno Burattini oltre venti anni fa, nella sua prima apparizione era spinto da un narcisistico desiderio di dimostrare la propria superiorità intellettiva. Il compiacimento della propria intelligenza criminale e allo stesso tempo il desiderio di ottenere dei vantaggi materiali ha caratterizzato alcune delle successive battaglie contro Zagor. Mortimer non è rimasto uguale a se stesso ma, come ogni essere pensante, si è evoluto: nel corso delle avventure fattori imprevedibili hanno infatti modificato la sua visione della vita. E questo lo si nota già nella terza avventura. Un altro aspetto che ha invece caratterizzato Mortimer in tutte le avventure è una sorta di onniscienza sul mondo di Zagor, nonostante un errore sia sempre possibile. Infatti, la non conoscenza di Guedè Danseur ha bloccato il perfetto ingranaggio ideato dal Nostro nell’isola di Haiti: la conseguenza è stata la tragica morte dell’amata Sybil (Zagor 522-525). Il Mortimer che esce vivo da quell’avventura è un uomo lacerato da un profondo dolore; un uomo, quindi, cambiato radicalmente il cui unico obiettivo è quello di far provare lo stesso dolore al proprio nemico. Moreno Burattini è partito da qui e con non celate reminiscenze freudiane ha immaginato cosa accade quando un uomo agisce sotto l’impulso di un dolore interiore, o come questa sofferenza venga forse inconsciamente rimossa e proiettata su un'altra persona. In questo caso l'altra persona è il nostro Zagor. Quello che ho scritto in queste ultime righe è secondo me il piatto forte dell’avventura: l’eroe, nel sorprendente finale, intuisce la sofferenza di Mortimer e sbatte in faccia all’avversario quell’intollerabile verità.

Il dolore di un uomo

La dimensione eroica di Zagor si è formata come sappiamo a causa di una tragedia familiare. Il dolore che ha distrutto la sua aurea fanciullezza ha portato alla nascita di una leggenda. D’altronde, i grandi Eroi della letteratura hanno attraversato in maniera catartica delle enormi difficoltà: un esempio e me a caro è quello di Odisseo, il cui interminabile viaggio di ritorno ad Itaca è stato costellato da un insostenibile dolore per la perdita di tanti amici. Il dolore può portare a un processo autodistruttivo, ma può anche innalzare un individuo a una superiore conoscenza di sé. Lo Spirito con la Scure non è entrato nel circolo vizioso del rancore e dell’odio, non si è mai compiaciuto del suo dramma e di conseguenza, pur con le rabbiose reazioni di nolittiana memoria, ha sempre mostrato una lungimiranza di pensiero coraggiosa e difficile da sostenere se non si è uomini speciali. Guido Nolitta aveva dato voce a un personaggio che, nei fatti, era da tempo in pace con se stesso: in quelle avventure abbiamo visto un eroe, anche nei momenti più tragici, carismatico e capace di superare le astiose contraddizioni umane. Un caso lampante, tra gli altri, è stato il finale de Il giorno della giustizia (Zagor 119-122), dove è stato capace di accettare, nonostante la morte di Wakopa, le dolorose scuse di mister Kirby, costretto a confrontarsi con le tragiche conseguenze delle proprie scellerate scelte.

Tornando a questo quinto capitolo della saga di Mortimer, il gioco interessante della vicenda è lo scontro tra un uomo che il dolore lo ha accettato e superato e chi invece nega a se stesso la realtà degli avvenimenti. Nelle 314 tavole dell’avventura, pur nei momenti in cui ha causato indicibili sofferenze all’eroe, il volto del villain non si distende in un sardonico sorrisetto ma evidenzia le rughe di un paranoico odio. Il Mortimer di quest’ultima avventura è un personaggio ancor più realistico e la sua vendetta assume i connotati di una profonda e celata verità: ogni essere umano, dinanzi agli eventi, cambia inevitabilmente la propria dichiarata filosofia. Questo accade nella miglior fiction come nella più disincantata realtà.

 

La vita questa sconosciuta


In questo tragico balletto, lo Spirito con la Scure si trova di fronte a una sfida che rischia di far incrinare la sua sicurezza. Quel mondo solidale di amicizie rischia di crollare dinanzi all’azione del diabolico Mortimer. Una delle sequenze più laceranti diventa una sfida con la sua innata generosità: la morte di Tabitha. È solo colpa tua! – grida il dottor Sand – Mia moglie non sarebbe morta se tu non avessi lasciato in libertà l’assassino che si vuole vendicare di te! Non sarebbe morta se tu non fossi entrato nelle nostre vite! Non sarebbe morta se fossi arrivato prima! Non sarebbe morta se mi avessi ascoltato e fossi corso a salvare lei, invece di esitare!

Zagor è taciturno, toccato nel profondo dalle parole dell’amico. L’eroe è inoltre rabbioso come non mai poiché sente venir meno la fiducia nei suoi confronti; ma avverte anche una sorda impotenza quando, alcune pagine prima, il suo estremo tentativo di salvare il trapper Doney si rivela vano.

La storia è un crescendo di tensione e inoltre ha il pregio di confermare dei dati di fatto della vita sentimentale dell’eroe. Sono convinto che il vostro cuore batte ancora per lui… – afferma Mortimer rivolto alla prigioniera Virginia – Ed è soltanto perché la sua vita avventurosa non gli consente di avere una compagna, che anche lui non vi frequenta come entrambi desiderate. L’evoluzione della serie passa anche per affermazioni che non nascondano i sentimenti dell’eroe o dei coprotagonisti.

Dal mese di dicembre 2014, atto conclusivo di questo quinto capitolo della saga di Mortimer, alcune cose son cambiate e infatti Burattini ha iniziato a sviluppare una sottotrama romantica che lascia intravvedere una forte attrazione di Jenny Jerson (una delle ragazze di Pleasant Point) nei confronti di Zagor, che potrebbe portare a risvolti inaspettati rispetto alla tradizione del fumetto bonelliano classico.

 

Tornerò a cercarti, Zagor, nemico mio!


L’ultimo atto, costruito intorno alla liberazione di Cico, Virginia e Akenat (suo malgrado imbestialito con Zagor), è un momento di grande lirismo, di drammatiche rivelazioni, di amicizie che si rinsaldano. Darkwood conferma di essere un luogo speciale – ricollegandosi idealmente al capolavoro L’uomo che sconfisse la morte (Zagorone 2) – dove Zagor può contare su un gruppo di amici che non mollano mai. La Foresta è il luogo dell’amicizia ed è il luogo dove i sogni si materializzano nell’immagine di una volpe chiazzata con dei pallini neri. È il luogo in cui alla realtà, a volte, si può sovrapporre un momento, ben scritto dallo scettico Burattini, di trascendente e malinconica poesia…

Colpito dalla scure di Zagor, Mortimer cade oltre i bastioni del Castello, viene trascinato dalla corrente del fiume e da una cascata precipita nelle acque sottostanti; i Nostri ritrovano il suo cadavere ma, ancora una volta, il diabolico nemico sfiderà la morte: quell’ultimo addio era soltanto un arrivederci! (Zagor 677, p. 21).

 

L’uomo di Darkwood


Marco Verni conferma ormai di essere un disegnatore capace di coniugare rapidità di esecuzione a una pregevole cifra stilistica. Il suo segno si sta ammorbidendo, il chiaroscuro è sempre più fluido, e riesce a conferire ai volti e all’ambiente il dramma che si sta consumando. Alcuni espressioni di Zagor sono da antologia e comunicano il conflitto e la rabbia dell’eroe come pochi altri disegnatori. Se Darkwood è il luogo della fantasia, Marco Verni ne è un irrinunciabile interprete.

sabato 19 dicembre 2020

Mohican: dalla solitudine all'amore

Sono molto affezionato a questo mio articolo, pubblicato su Lo Spazio Bianco nel 2010. Un articolo a cui ho messo su carta le emozioni, ben prima delle riflessioni, scaturite dalla lettura di Mohican, volume scritto dall'indimenticato Paolo Morales e disegnato da Roberto Diso. Un capolavoro della narrativa disegnata, degno di entrare nei classici dell'immenso catalogo della Sergio Bonelli Editore.

Copertina di Mohican. ©Sergio Bonelli Editore



Da quando è nato nell’uomo il desiderio e il piacere del racconto, cioè da sempre, il libro d’avventura è un’attrazione naturale per chi legge, sotto qualsiasi latitudine, in qualunque lingua. Così scrive Stanislao Nievo nell’introduzione del romanzo di James Fenimore Cooper L’ultimo dei Mohicani, pubblicato nella collana Biblioteca Economica Newton (1994). Il libro di Cooper è di certo il migliore esempio di romanzo avventuroso – un vero e proprio archetipo – sull’epopea della Frontiera, quel susseguirsi di avvenimenti, compresi circa tra il 1600 e la fine del 1800, da cui si sono formati gli Stati Uniti d’America. Come hanno scritto diversi osservatori, Cooper ha voluto scrivere una sorta versione Americana dell’Odissea o dell’Orlando Furioso[1]. Questo spiega come L’ultimo dei Mohicani sia stato preso a modello – a livello ideale (la cosiddetta epica americana, secondo la definizione di Gianmaria Contro) e come spunto narrativo diretto o indiretto[2] – dai registi di Hollywood, capaci di trasformare l’epopea del western nella più gloriosa chanson de geste dell’epoca moderna. Grazie alla creatività di registi, sceneggiatori e attori, soprattutto nel mondo Occidentale, molte generazioni hanno fatto proprie le drammatiche vicende della Frontiera, costellate da momenti ingloriosi e da altri di travolgente coraggio. Ed è stato naturale che, anche qui in Italia, autori cinematografici o fumettistici trasformassero quelle suggestioni in altre opere, alcune diventate delle icone come gli spaghetti-western di Sergio Leone o come quel fenomeno generazionale rappresentato dal Tex Willer di Gianluigi Bonelli.


Bumppo incontra Greta. ©Sergio Bonelli Editore

 

Cenni biografici

Lo stesso Paolo Morales ha di certo attinto a quel pozzo dei miti, riempito in buona parte dalla letteratura avventurosa e dal cinema western, che ha nutrito la fantasia di migliaia di persone. La biografia di Morales racconta di un autore eclettico, capace di sconfinare dal disegno al cinema (realizza diversi Storyboard per noti registi italiani e stranieri), dalle serie televisive animate (come sceneggiatore per la RAI) alla Sergio Bonelli Editore. Per la Casa editrice di Via Buonarroti disegna diversi episodi di Martin Mystère e in seguito si propone come soggettista e la sua penna partorisce alcune della più vivaci avventure del personaggio ideato da Alfredo Castelli. Il Martin Mystère di Morales è un personaggio consapevole e dotato di una personalità prorompente e allo stesso tempo fedele al modello originale. Un’alchimia difficile da centrare se non si hanno idee chiare e coraggio di intenti.

 

L’uomo dei Mohicani

L’autore è uno dei migliori sceneggiatori italiani e la sua proposta per la collana Romanzi a fumetti Bonelli, giunta al quarto volume, non passa inosservata. L’avventura si svolge vent’anni dopo gli avvenimenti narrati in L’ultimo dei Mohicani: siamo nel 1778 e lo scontro tra Inglesi e Francesi insanguina le regioni del Nordest dei futuri Stati Uniti. Tra gli ufficiali della Milizia continentale c’è il generale Washington[3].

Il confronto. ©Sergio Bonelli Editore


Morales aveva già collaborato a una riduzione animata (per la RAI) de L’ultimo dei Mohicani e il soggetto deve aver talmente affascinato l’autore da indurlo a proporre, in versione adulta, un seguito del romanzo. Queste sono sfide rischiose e di difficile realizzazione. Non è impossibile costruire una trama avvincente, è difficilissimo invece far muovere personaggi impressi nell’immaginario collettivo come quelli ideati da Fenimore Cooper. Morales ha evitato il rischio perché ha dato al suo Natty Bumppo lo stesso incantato realismo del personaggio originario. Ma questo disincanto si trasforma e si evolve verso qualcosa di inaspettato e allo stesso tempo del tutto coerente. Il Bumppo di Morales non è una roccia immutabile, ma un personaggio in continua evoluzione, capace di ammorbidire alcune spigolosità del suo carattere. E la sequenza centrale di pagina 225, resa da due intensissimi primi piani di realizzati da Roberto Diso, è l’ideale manifesto di questa metamorfosi resa possibile dalla più potente delle magie: l’amore.

 

L’esperienza di Dio


Quasi tutti i personaggi della vicenda, del resto, non resteranno indifferenti alle esperienze vissute. Soprattutto quando queste esperienze si rivelano tremende al punto da intaccare le più profonde convinzioni. Neale Donald Walsch nel suo dialogo con Dio scrive: “Ben poche delle valutazioni comprese nella tua verità sono valutazioni fatte da te stesso basandoti sulle tue esperienze. […] Non avete aspettato di fare esperienza in prima persona, avete accettato l’esperienza di altri alla lettera, e poi quando vi siete imbattuti nella vera e propria esperienza per la prima volta, avete sovrapposto quello che già pensavate di sapere alla percezione di quello che è”[4]. Queste parole centrano alla perfezione le caratteristiche di alcuni dei protagonisti del racconto. In primo luogo, il Pastore Peter Miller, un uomo pieno di sé e dei suoi precetti a tal punto da rifiutare ogni esperienza. Ma allo stesso tempo, la fede dottrinale del Pastore è talmente forte da affrontare un pericoloso viaggio per invocare la grazia all’uomo a cui aveva portato via la moglie, illuminata dalla chiamata di Dio. Miller sembra proteggere la sua fragilità interiore predicando una visione di Dio giudicante, e di fatto ipocrita, come l’ultimo degli uomini. Quelli come Miller hanno ingannato se stessi e migliaia di loro adepti. Morales, però, non vuole dare una lettura solo negativa del personaggio: nel finale, grazie alla figliastra Greta, il Pastore ha modo di scorgere un altro modo di amare Dio.


Lotta per la Vita. ©Sergio Bonelli Editore


 

L’erotismo divino

E la figura di Greta, invece, è quella a cui forse Morales sembra più legato. Ed è da sottolineare il suo cambiamento, a partire da quello esteriore, chiara lettura della metamorfosi interiore. La scorgiamo all’inizio, secondo le regole dei Mennoniti, con un abbigliamento castigato, per poi ritrovarsi con i capelli sciolti al vento, simbolo di una sensualità a stento trattenuta. È vero, Greta usa le sue armi di seduzione per uscire da una situazione disperata, ma il suo percorso accanto a Bumppo porta alla luce la naturale passione erotica di ogni essere umano. La giovane, per chiudere, dà ascolto alla propria esperienza e si lascia alle spalle le imposizioni di Maestri che sembrano ignorare l’autentica felicità del Creato. E per uscire dal suo torpore, Greta ha bisogno di gridare contro Miller tutta la sua indignazione repressa: Miserabile ipocrita! Mia madre è morta per voi e io vi ho salvato la vita! Ma siete troppo chiuso nell’angusto recinto della vostra presunzione per provare riconoscenza. Per certi versi, siete peggiore dei lupi che ci hanno torturato! La ragazza ha inoltre il pregio di non cullarsi nei suoi sentimenti di ostilità – come purtroppo fanno molte persone, incapaci di evolversi – e di percorrere fino in fondo la strada del rinnovamento. Da quelle drammatiche vicissitudini nascerà una Greta sconosciuta forse anche a sé stessa.

 

L’odio è pregiudizio!

Il pregiudizio, tra i popoli o le fazioni, porta le persone a ingigantire il proprio eventuale odio. Come è riportato sui dizionari (cfr. Il Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana), il pregiudizio è un’opinione errata che dipende da scarsa conoscenza dei fatti o da accettazione non critica di convinzioni correnti. Morales in questo suo affresco si sofferma a osservare la realtà dell’epoca con uno sguardo neutro; o meglio, lo sceneggiatore tenta – riuscendoci – di non incolpare di violenza uno schieramento invece di un altro. Ma, attraverso lo sguardo critico e attento di Nathaniel Bumppo, si limita a considerare le tante sfaccettature della violenza. C’è quella dettata da chi non vorrebbe perdere dei territori colmi di ricchezza. C’è chi, come i Mohawk, usa la violenza come dimostrazione di forza: Hanno paura di farsi vedere deboli, per questo sono così crudeli dice Chingachgook. C’è chi, pur celandosi dietro idee libertarie, non è privo di zone d’ombra: come il miliziano americano protetto dagli amici di Bumppo. Ed è proprio quest’ultimo a smascherare il miliziano, macchiatosi, insieme ad altri, di un’orrenda strage. Ed è questa la sintesi magistrale del racconto: ricordarci che dietro ogni azione ci sono uomini sempre pronti a farsi trasportare dal demone della violenza, qualsiasi sia la barricata di appartenenza. 


La nuova Greta. ©Sergio Bonelli Editore

 

Diso delle foreste

Ad accompagnare Morales in questo viaggio avventuroso, troviamo un Diso in splendida forma. Già a uno sguardo rapido delle tavole si avverte la felicità dell’impostazione e si nota come non solo i paesaggi e gli animali siano raffigurati con la consueta sapienza ed eleganza, ma anche i personaggi siano dotati di una vitalità autentica. Non del tutto riscontrata sulle pagine di Tex, come ha dichiarato l’autore stesso[5].

È da apprezzare in particolare la figura di Bumppo, che rifugge dal facile e suggestivo modello interpretato da Daniel Day-Lewis nel film diretto da Michael Mann (1992). Alcune pose ricordano la figura dell’attore sopracitato, ma nel complesso il disegnatore si è posto su una linea personale.

Inoltre, com’è capitato spesso in Mister No, Diso ci delizia con le sue splendide figure femminili, posando uno sguardo alle sinuose forme di fanciulle desiderose di passione. Le donne di Diso sono generose, nelle forme e nei sentimenti: non importa se positivi o negative.     



[1] Nell’articolo introduttivo del racconto Mohican, Gianmaria Contro compie un’attenta analisi del romanzo di Cooper e degli avvenimenti storici che hanno fatto da sfondo alla vicenda.

[2] Nello stesso volume citato alla nota 1, Maurizio Colombo (in un box alle pp. 10-11) fa una disamina delle pellicole tratte – più o meno direttamente – da L’ultimo dei Mohicani.

[3] Per un rapido approfondimento sulla vita del generale Washington e sulla guerra Franco-Inglese è consigliabile il link it.wikipedia.org/wiki/George_Washington.

[4] Il testo riportato è tratto dal libro, esploso come caso editoriale, Conversazioni con Dio di Neale Donald Walsch in cui l’autore affronta i temi fondamentali dell’esistenza. La citazione è tratta dall’edizione economica di Sperling & Kupfer, 2009, p. 72.

[5] Cfr. Roberto Diso, in Lezioni di Fumetto n. 5, a cura di Guglielmo Nigro, Coniglio Editore, Roma ottobre 2008.