Zagor Darkwood Novels #1. Quando l'eroe incontra l'uomo

di Giampiero Belardinelli (con la collaborazione di Nazzareno Giorgini)

Introduzione

In questa nuova pagina del blog ho deciso di analizzare il primo volume della miniserie Zagor Darkwood Novels. Tra laltro, ho chiesto a Nazzareno Giorgini  considerata la sua formazione professionale di Insegnate di Lettere di Scuola Superiore – di analizzare come Burattini utilizzi in questa vicenda la figura del narratore, allargando poi il discorso più in generale (cfr. il paragrafo Breve analisi del ruolo del narratore nel Fumetto dAvventura). Inoltre, in appendice alla recensione, lo stesso Nazzareno Giorgini firma un breve pezzo in cui affronta in maniera concisa e chiara alcuni aspetti della scrittura dello sceneggiatore toscano.
Infine, due parole su Nazzareno Giorgini: ha realizzato diversi articoli, principalmente per riviste come Dime Press (Glamour International Production) e Darkwood Monitor (Zagor Club). Il suo maggior merito, in qualità di storico e filologo del fumetto classico bonelliano, è stato quello di aver risolto il mistero sulla vera data di pubblicazione del romanzo di Gianluigi Bonelli Il massacro di Godena (il 1951 e non il 1956). Larticolo ha avuto due diverse pubblicazioni: la prima, nel 2008, sulla cartacea Dime Press Duemila (il n. 8, edizione della rivista curata dallautore di questo blog per la Glamour Associated di Antonio Vianovi); la seconda, nel 2012, sul magazine online di Francesco Manetti e Saverio Ceri Dime Web. In entrambe le edizioni, il testo è stato corredato con immagini che certificano lo scoop del Nostro (in questa sede, troverete le immagini citate nellappendice). Da quel momento in poi, in tutte le cronologie, in prmis in quelle della Sergio Bonelli Editore, i redattori e i giornalisti di varie testate hanno tenuto conto delle inconfutabili prove fornite da Nazzareno Giorgini.


Copertina di Michele Rubini. ©Sergio Bonelli Editore

Dopo il buon riscontro de Le Origini, la Sergio Bonelli Editore ha affidato a Moreno Burattini il compito di scrivere una nuova miniserie. L’idea alla base di Zagor Darkwood Novels richiama in maniera esplicita i Dime Novels ottocenteschi, racconti avventurosi sensazionalistici venduti per dieci cent, indirizzati prevalentemente a un pubblico popolare. Ma le similitudini si limitano al taglio grafico dell’albo, con copertine dell’eccellente Michele Rubini, al nome di testata e alla brevità dei racconti. La narrazione e i disegni, invece, hanno uno stile moderno e dinamico, in sintonia con la sensibilità di un pubblico molto più smaliziato rispetto a quello dei decenni passati. Siamo nel 1860: un giornalista, Roger Hodgson, vorrebbe scrivere un libro su Zagor (di cui si sono perse le tracce) e si reca a Philadelphia, dove viene ricevuto da un misterioso personaggio che, da una stanza in penombra, gli racconta alcuni degli episodi più intimi della vita di Patrick Wilding.

Il giornalista Roger Hodgson. ©Sergio Bonelli Editore

Premessa

Ogni opera che viene presentata a un pubblico si espone inevitabilmente al giudizio dei fruitori della stessa. È una legge non scritta e soprattutto è un’esigenza insita nell’animo delle persone: appena un essere umano raggiunge una pur minima capacità critica (critica nel senso etimologico del termine: cioè giudicare un’opera in maniera positiva o negativa) vorrà esprimere la propria opinione. Questo accade non solo per le opere creative, ma anche per qualsiasi altro contesto della società. Nell’epoca di Internet e soprattutto dei Social questo fenomeno, come ben sappiamo, ha avuto nel bene e nel male la sua esplosione. La cultura popolare e di massa – che ha iniziato a diffondersi in Italia nel secondo dopoguerra e ancor di più a partire dagli anni Sessanta – ha permesso a un largo strato della popolazione di approcciarsi in maniera giocosa e divertita all’arte della critica, seppur improvvisata.

Elaborazione grafica di ℗Paolo Sanna.
Per gentile concessione dell'autore.

Infatti, come si suol dire, quando un prodotto creativo arriva sul mercato appartiene al pubblico. Ma un autore, come ha scritto qualche anno fa Paola Barbato, difficilmente chiederà ai propri lettori/spettatori di analizzare l’opera. All’autore basta sapere se il suo lavoro è piaciuto o meno. Tra le fila di questo pubblico, però, c’è anche una ristretta fascia di persone, i cosiddetti Nerd (il mio habitat naturale), che cercano di portare il proprio giudizio su un livello più alto, senza tralasciare mai il lato giocoso della propria ideazione intellettuale. Ma quando si decide di articolare un giudizio più complesso ci si espone fatalmente ad essere valutati per le proprie conclusioni. Per questo occorre tenere sempre in mente quali sono le caratteristiche principali che determinano il giudizio finale su un’opera, nello specifico di un racconto disegnato. Secondo me, e chiudo, non sono mai i pur succosi dettagli (quelli che di solito negli Index mettiamo nelle Note) a dare forma a un’analisi compiuta, ma le emozioni, le intuizioni narrative, le soluzioni grafiche, la caratterizzazione dei personaggi attraverso il disegno e il dialogo.

Zagor e la femmina

Già dalla copertina intuiamo come la vicenda ruoterà intorno al rapporto tra il Nostro e la coprotagonista femminile. Ma come agisce l’eroe nei confronti della femme fatale? Zagor è accorto, si muove a suo agio nella vicenda; sa quando fingere, sa quando agire. Ma è uno Zagor sensibile, empatico nei confronti di Kendra, di cui intuisce le reticenze ma allo stesso tempo comprende come sia una donna in cerca di un sostegno che, come la spia Mata Hari, cerca di sopravvivere in un mondo violento dominato dagli uomini.
Mata Hari, pseudonimo di Margaretha Geertruida Zelle
(1876 -1917).
 È stata una danzatrice e una giovane agente segreto olandese,
condannata alla pena capitale per la sua attività di spionaggio
durante la Prima Guerra mondiale.

L’intento di mostrare il lato umano di Zagor non significa mettere l’eroe sul lettino di uno psicoanalista, ma evidenziarne la psicologia attraverso le azioni e le reazioni al campionario umano con cui entra in contatto. L’eroe indirizza alcuni eventi ma non può evitare il tragico destino della storia (lo scopo), come in molte occasioni è capitato in avventure di Guido Nolitta (Il giorno della giustizia, Zagor 119-122), di Marcello Toninelli (L’assassino di Darkwood, Zagor 215-217), di Tiziano Sclavi (Incubi!, Zagor 275-280), di Ade Capone (La collina sacra, Zagor 289-291), di Mauro Boselli (Fratelli di sangue, Zagor 411-414) e dello stesso Moreno Burattini (L’uomo con il fucile, Zagor 336-338).

La donna in pericolo nel fumetto bonelliano

Il ruolo della fanciulla in pericolo, a cui per certi versi appartiene anche la nostra Kendra, è una costante del fumetto popolare classico, quello bonelliano in primis. Gli eroi bonelliani, da Tex Willer a Zagor, dal Comandante Mark al Piccolo Ranger, sono dotati di un’etica che li porta con slancio a proteggere una donna in pericolo; ma spesso il ruolo riservato al gentil sesso andava poco oltre, con le dovute eccezioni: tra queste Tesah nel primo Tex bonelliano e Frida Lang del periodo d’oro nolittiano. Il caso di Frida Lang è stato comunque un primo passo in avanti in questa direzione: in quel periodo (il 1974) Guido Nolitta aveva già in mente il personaggio di Mister No, che ha rappresentato uno scarto rispetto alla classica narrazione avventurosa. Senza dimenticare, inoltre, La Storia del West (1967-1980) di Gino D’Antonio, in cui possiamo trovare donne coraggiose e volitive, spesso determinanti nelle vicende.

Con l’arrivo nelle edicole del Ken Parker di Berardi & Milazzo (1977) si sale di livello e le figure femminili, che riflettevano anche i cambiamenti in atto nella società, sono state analizzate con più finezza psicologica. Nella saga kenparkeriana incontriamo madri disperate, donne violente, prostitute, adolescenti problematiche ecc. Erano delle figure con un’umanità – a volte gioiosa a volte dolente – che emergeva anche negli abissi della più cupa disperazione. In tempi più recenti, a partire dal 1994, Mauro Boselli e Moreno Burattini hanno inserito delle figure femminili con una più decisa personalità, adeguando finalmente le rispettive collane (Tex e Zagor) a quella rivoluzione culturale iniziata decenni prima. Burattini ha evidentemente tenuto conto di questo immenso retroterra culturale e nella sua Kendra ha fuso tante sfaccettature, con una particolare attenzione alla scuola berardiana.

Il maschilismo

Come in alcuni recenti lavori burattiniani, anche in questo racconto è di fondamentale importanza la presenza femminile. Tra l’altro, per l’occasione lo sceneggiatore accentua il realismo e compie un veritiero ritratto del maschilismo. Burattini ci mostra come il maschilismo non era prerogativa solo dei cattivi (come nei fumetti avventurosi del passato), ma una consuetudine culturale molto diffusa tra gli uomini dell’Ottocento: a pagina 51, infatti, anche alcuni soldati della truppa agli ordini del capitano Hendriks non disdegnerebbero di palpare le grazie della ragazza. Oltre all’ambizione di conquistarsi un posto al sole, la giovane donna cerca anche di combattere la sua battaglia di libertà contro il maschilismo: Kendra infatti vuole non solo affrancarsi personalmente (pur ricorrendo a inganni e sotterfugi) ma, nei limiti delle sue possibilità, difendere anche quelle donne costrette a subire ogni sopruso.

Kendra e Zagor. ©Sergio Bonelli Editore

Kendra è una fuorilegge solitaria come il primo Tex, anche se l’eroe bonelliano aveva varcato i confini dalla legge per difendersi dalle angherie dei farabutti in guanti bianchi. Ma nonostante le ambiguità di Kendra, ho decisamente parteggiato per lei poiché non è solo la bellona di turno ma una donna calata nella sua realtà storica: Non ti ho mentito su Gilbert Emery. – dice la giovane a Zagor – È davvero il bastardo che ha abbandonato una donna incinta di suo figlio, obbligandola ad andarsene… anche se quella donna non sono io. Si chiama Marsha Stone [era la cameriera di Emery, n.d.r.] e abita a Winter Town. I soldi che ho trafugato dalla cassaforte erano per lei e suo figlio. Non restituirli… dì che non li avevo più con me… e portali a Marsha (pp. 57-58-59). 

Tre, due, uno: azione!

A parte la cornice (il prologo e l’epilogo) ambientata a Philadelphia, le vicende in cui è coinvolto Zagor si svolgono grosso modo trent’anni prima. Burattini, avendo a disposizione poche pagine, sceglie di iniziare in medias res (come afferma Roger Hodgson a p. 10) e, da pagina 11 a pagina 62, mantiene molto alto il ritmo, intervallando le sequenze in diretta con fulminei flashback. L’intento del narratore è quello di giocare con il mistero (chi è Kendra?) e allo stesso tempo di dare al racconto un’impronta corale: e questo non sarebbe stato possibile con una narrazione lineare giocata soltanto su un unico livello temporale. Lo sceneggiatore strizza l’occhio al cinema e in particolare alla scansione delle sequenze tipica della scrittura per immagini ideata da Giancarlo Berardi, autore il cui debito con la sequenzialità cinematografica è evidente.


Un fiore per Kendra...
©Sergio Bonelli Editore

Nel finale, con la morte crepuscolare di Kendra, Burattini si immerge consapevolmente nel cliché, ma, come scrive il critico serbo Zlatibor Stankovic (cfr. Io e Zagor. La strada verso Darkwood, Moreno Burattini, Cut-Up Publishing, p. 237), l’autore ha evitato la trappola degli stessi (frase tratta dalla recensione che il giornalista serbo aveva scritto sulla prima storia zagoriana di Burattini). Infatti, grazie alla poetica delicatezza della voce fuori campo, porta la vicenda su un intrigante e superiore livello. La figura dello Spirito con la Scure, tramite l’espediente del narratore lontano nel tempo, sembra farsi eterea, in quel confine tra la leggenda e la malinconia dove si celano gli eroi perduti.

Breve analisi del ruolo del narratore nel Fumetto d’Avventura 

Dopo aver riletto di nuovo l’albo, accogliendo la richiesta di Giampiero, ho notato come la caratteristica principale della storia è quella di essere raccontata su tre livelli di narrazione:

1) il giornalista che va dallo sconosciuto per sentirsi raccontare di Zagor;

2) lo sconosciuto che racconta di Zagor è un narratore esterno (usa la terza persona verbale) con focalizzazione interna (prende il punto di vista di Zagor);

3) il terzo livello di narrazione è quello di Kendra (non del tutto affidabile) e quello dei militari (che invece dicono la verità).


Il narratore misterioso. ©Sergio Bonelli Editore

Complessivamente si potrebbe dire che tutta la storia è narrata da un narratore esterno con focalizzazione interna variabile. È la classica narrazione in cornice, come il Decamerone del Boccaccio. Nelle storie (romanzi, fumetti) di oggi non si usa quasi più il narratore onnisciente (che sa più dei personaggi), perché tutto è narrato in focalizzazione interna (il narratore sa come i personaggi) o addirittura in focalizzazione esterna (il narratore sa meno dei personaggi) come nei film horror o gialli
Tra gli autori bonelliani, ad esempio, G.L. Bonelli e Lavezzolo usavano il narratore onnisciente attraverso le didascalie che commentavano o anticipavano eventi. Oggi né BoselliBurattini (puntando l’attenzione ai personaggi classici come Tex e Zagor) usano le didascalie, quindi, la loro focalizzazione è sempre interna e multipla o anche esterna; il fumetto odierno è diventato quasi come un film e non ha niente a che vedere con la classica narrazione ottocentesca del narratore onnisciente; e se ciò sia un bene o un male, questo è un altro discorso... (N.G.)

Freghieri nell’altrove dell’avventura

Giovanni Freghieri è un maestro del fumetto bonelliano e la sua carriera con la Casa editrice milanese inizia nei primi anni Ottanta con la serie Bella & Bronco di Gino D’Antonio. In seguito, disegna Martin Mystère di Alfredo Castelli e arriva alla popolarità con Dylan Dog di Tiziano Sclavi.  La sua prima prova con Zagor risale allo scorso anno, con l’albo La grotta sacra (ottobre 2019), quinto volume de Le Origini (collana interamente a colori). Freghieri aveva in qualche modo avuto a che fare con lo Spirito con la Scure illustrando il terzo team-up Dylan Dog & Martin Mystère, albo sceneggiato da Carlo Recagno (dicembre 2018), dove nel finale l’eroe di Darkwood e la sua nemesi il professor Hellingen si trovano faccia a faccia. Di questa avventura, tra l’altro, ho fatto un’ampia recensione su Dime Web.

 La tavola che dà il via al volume e alla miniserie Zagor Darkwood Novels.
©Sergio Bonelli Editore

Il bianco e nero di questa miniserie rende giustizia al segno di Freghieri, abile con il gioco delle luci, le sfumature, le dissolvenze. Il suo tratto evoca la malinconia e gran parte delle storie di Dylan da lui disegnate ne sono impregnate. Non fa eccezione questa avventura di Zagor. L’artista riesce a valorizzare le sequenze realistiche e quelle più intrise di nostalgia giocando molto con le luci nel primo caso e con le dissolvenze (il tratto che va a sfumare verso il bianco) nel secondo. Nel primo esempio, invito i lettori ad ammirare i primi piani di Kendra alle pagine 22 e 26; nel secondo esempio, voglio mettere in evidenza la grande vignetta in apertura e alcune sequenze alle pagine 61, 62 e 63. La caratterizzazione dei personaggi è sempre molto calibrata: il volto di uno degli sgherri di Gilbert Emery (cfr. la seconda vignetta di p. 32) è un eccellente esempio di questa peculiarità del disegnatore. Sulla sinuosa capacità di rendere sexy e morbide le giovani donne si sono spesi fiumi di inchiostro e credo non serva aggiungere altro. Il suo Zagor appare più dolce nei tratti del viso rispetto ad altre interpretazioni (e questo serve anche a dare rilevanza a quegli occhi del destino dal quale la povera Kendra è stata segnata), ma il dinamismo dell’eroe non tradisce la più classica tradizione zagoriana. 

Lo Zagor texiano di Burattini

di Nazzareno Giorgini

Che cosa significa questo titolo? Beh, può essere fuorviante, visto che stiamo per parlare di Zagor; ma a mio parere, alcune sceneggiature dell’eroe nolittiano scritte da Burattini in questi ultimi tempi risentono dell’influenza evidente di certi stilemi, linguaggi e situazioni tipiche del primo Tex bonelliano. Una delle più recenti storie di Zagor in cui si nota ciò è Il pueblo misterioso (Zagor 642-645), disegnata da Bane Kerac: qui troviamo l’utilizzo di certe esclamazioni (maledizione…tizzone d’inferno…sangue di Giuda…) che ci riportano a quel linguaggio diretto, realistico e incisivo (in altre storie zagoriane ritroviamo anche il famoso maledetti, cento (o mille) volte maledetti) che G.L. Bonelli sapeva usare da maestro. Del resto tutta la lunga storia disegnata da Kerac è un concentrato di situazioni texiane, fino ad arrivare alla drammatica conclusione che ricorda quella di Eugenia Moore, la complice della banda dei Dalton, nel numero 9 di Tex (p. 52).

Lo scoop di Nazzareno Giorgini:
nel montaggio la cover e la seconda di copertina
della striscia (4 settembre 1951)
in cui si certifica la data della pubblicazione de Il massacro di Goldena.

Questo non vuol dire che Zagor sia diventato Tex, poiché il nostro autore toscano sa utilizzare un certo linguaggio e certe situazioni solo quando servono, senza dimenticare quel mix di fantasia, storia e leggenda (e senza dimenticare Cico!) che ha fatto la fortuna dell’eroe di Darkwood. Consiglio di leggere (o rileggere) l’avventura disegnata da Kerac per crederci. Altre storie recenti ci riportano in diverse situazioni, ambienti, emozioni, che stanno a dimostrare la grande duttilità di Burattini nello scrivere Zagor.

Volume curato e prodotto da Nazzareno Giorgini.
Disponibile presso Edizioni Simple.

Nell’ultimo MaxiZagor n  39 mi ha colpito la sequenza a pagina 98 (il racconto La diga di ghiaccio, illustrato da Alessandro Chiarolla): l’eroe salva la vita a chi voleva ucciderlo e questo gesto di bontà e altruismo gli salva la vita (anche se rende vano il gesto precedente). È quello che faceva Bonelli padre nei primi Tex per dare verosimiglianza alla storia e creare un eroe quasi protetto dalle forze del Bene. Si veda Tex che accarezza un cane e questo gesto gli salva la vita (n. 28, p. 99), oppure Tex che accarezza una bimba e questo gesto gli salva la vita (n. 30, pp. 24-25). Un’altra caratteristica che apprezzo delle storie di Burattini è quella di scrivere sceneggiature con un numero di pagine non delimitato necessariamente dalla fine o dall’inizio dell’albo: si veda la già citata avventura disegnata da Kerac, che dura quasi tre volumi e mezzo, oppure La figlia del mutante (Zagor 655-657), che inizia e finisce a metà dell’albo. Un altro elemento che riporta alle storie texiane di G.L. Bonelli, nelle quali l’autore sentiva il bisogno di seguire la sua ispirazione senza limitazioni di sorta.

Nella nuova miniserie di Zagor Darkwood Novels ho trovato interessante (nella rubrica finale Il taccuino di Roger Hodgson) l’idea di far sembrare Zagor, attraverso i ricordi di chi l’ha conosciuto, un personaggio storico. È quello che si faceva con le prime strisce di Tex, fingendo che Bonelli padre raccontasse le memorie del ranger. Un altro esempio, secondo me, di come il restyling di Zagor operato da Burattini passi anche attraverso la conoscenza accurata del primo Tex, e facendo questo l’autore va sul sicuro…

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